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Il Diavolo a Toline

Gasparì era un mulattiere di Santicolo, ma era conosciuto come «el caretér dè Cùrten».

Con cadenza settimanale, scendeva dall’Alta Valle Camonica fino al lago d’Iseo e al capoluogo.

Nei centri seminati sulle rive dell’Oglio raccoglieva il collettame da portare a destinazione e tornava col carico della mercanzia ordinata dai clienti abituali.

Quando raggiungeva Brescia, Gasparì faceva immancabile tappa alla Gabiana, dal Nonno. Prendeva con sé zappe e badili, cazzuole e secchi, attrezzi agricoli e da muratore che uscivano dalla fucina con maglio che il Nonno Pi gestiva sfruttando la forza motrice delle acque del fiume Grande Superiore.


Intanto che si completava il carico, Gasparì mi faceva sedere issandomi sul carro e prendeva a raccontare una delle tante leggende che conosceva. A quel tempo era un diversivo piacevole per gli adulti incutere paura ai bambini con racconti da brivido.

Io però ascoltavo incantato le storie popolari di cui era ricco il leggendario bresciano. Via via che faceva sosta nelle varie osterie di paese, Gasparì tra un bicchiere e l’altro di Lanzato, il rosso asprigno della Valle, raccattava il meglio della tradizione orale e lo capitalizzava per spenderlo a dovizia dove trovava un uditorio disposto a lasciarlo dire.

Una leggenda delle molte udite dalla viva voce del Gasparì dè Cùrten mi aveva colpito in particolar modo e ora mi è tornata alla memoria.



«Se mai ti capiterà di gettare lo sguardo sopra un certo spuntone a picco sul lago, tra Pisogne e Toline, non farai fatica a trovare ancora in bella vista una nitida impronta caprina. E l’orma che il diavolo lasciò un lontano giorno allorché uscì scornato da una disputa con un mulattiere come me.

Devi sapere che a quel tempo il diavolo usciva spesso a caccia di anime: faceva le sue scappate in terra, mascherato a dovere, per celarsi agli occhi degli sprovveduti.

Un giorno che aveva lasciato l’inferno, appunto, per darsi da fare tra gli uomini, capitò sulle rive del lago d’Iseo. Cercò un posto speciale per appostarsi e lo trovò appena fuori Pisogne, sulla via per Toline.


Il Diavolo a Toline lo giudicò adatto alla sua partita di caccia e si dispose ad aspettare il passaggio della prima preda.

Orbene, la sorte volle che fosse un carrettiere camuno – abituato a percorrere con una certa frequenza il sentiero che costeggiava il lago -, a passare sotto gli occhi grifagni del diavolo in persona.

Non appena lo scorse appollaiato sull’alto della roccia, fermò il passo intimidito.


Il Diavolo a Toline subito gli rivolse la parola: «Non sei stanco di faticare tanto per una vita grama come la tua?». «Certo che lo sono – rispose rinfrancato il mulattiere -. Ma come posso fare altrimenti? Conosco soltanto il mio mestiere». «Se ascolti il mio consiglio in poco tempo ti farò ricco. Vuoi scommettere con me?». «Che cosa dovrei scommettere?». «La tua anima contro l’agiatezza che io ti prometto», ghignò diabolica la creatura infernale.

Il mulattiere si allarmò ma non si perse di coraggio. «Chi sei tu per poter promettere una simile fortuna?». «Io sono il principe delle tenebre e a me nulla può essere negato, perché il mio potere è immenso». «Che dovrei fare, per seguire il tuo consiglio?», domandò il carrettiere camuno. «Abbandona tutto e seguimi!». «Ma come? Dovrei lasciare qui il carico delle consegne, il mulo, tutto quanto?».

«Vuoi diventare ricco e felice? Fa’ come ti dico e ti ordino». Il furbo mulattiere finse di accettare. «Va bene: fammi solenne promessa e io ti seguirò». «D’accordo: la farò», accettò il diavolo.

A questo punto, l’astuto valligiano, disse: «Allora, ripeti quel che io faccio e dico». Così dicendo, s’inginocchiò, si levò il copricapo e si fece un ampio e deciso segno di croce.

A quella vista, il misterioso individuo camuffato da forestiero, riprendendo le sue sembianze diaboliche, cominciò a soffiare fumi sulfurei, a digrignare i denti, a emettere grida forsennate.

Poi, coprendosi gli occhi con le mani adunche, arretrò, arretrò finché si trovò sul punto estremo della roccia a picco sul baratro. Tentò di riprendersi ma, con un ultimo grido diabolico, spiccò un gran salto e s’inabissò ingoiato dal profondo. Il carrettiere salì sulla cima dello spuntone, per guardare giù, dove le acque del lago si erano rinchiuse sul diavolo, e notò una chiara impronta caprina lasciata dal demonio all’atto di spiccare il salto.

In quella roccia le impronte del diavolo rimasero indelebili per lunghi anni e gli abitanti del luogo, custodi della leggenda, ambivano mostrarle ai viandanti o ai visitatori di passaggio».


TRATTO DA ” TRENTA LEGGENDE BRESCIANE ” DI LINO MONCHIERI

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